L’atrofia ottica dominante è una patologia che comporta il deterioramento dei nervi ottici, sintomi che di solito si manifestano nei primi anni della fase adulta. Inizialmente si manifesta con una moderata perdita della vista e altri vari difetti come la difficoltà nel riconoscere i colori. Tuttavia, i livelli di gravità possono variare così tanto che alcuni soggetti rischiano perfino la cecità totale.
In passato è stato scoperta un gene, denominato OPA1, il quale sembrava avere un ruolo in questa malattia. Questo gene è responsabile nel fornire le istruzioni necessarie per produrre una particolare proteina nelle cellule e nei tessuti. Questa proteina risulta molto importante per il funzionamento dei mitocondri e senza di essa la stessa funzione mitocondriale non risulta più ottimale.
Secondo gli scienziati, l’atrofia ottica dominante è causata da mutazioni del gene OPA1, cosa che porta a mitocondri disfunzionali che fanno nascere e progredire il disturbo. Per questo motivo, un team di ricercatori del Trinity College di Dublino, in un recente articolo pubblicato sul Frontiers in Neuroscience, ha proposto questa nuova terapia genica. Daniel Maloney e Jane Farrar, della Scuola di Genetica e Microbiologia al Trinity, hanno notato che la terapia sperimentata sui topi, sembra proteggere con successo le funzioni visive nei ratti precedentemente trattati con una particolare sostanza chimica mirata ai mitocondri.
A spiegare l’esperimento è lo stesso Maloney: “Abbiamo utilizzato una tecnica di laboratorio intelligente che consente agli scienziati di fornire un gene specifico alle cellule che ne hanno bisogno utilizzando virus non dannosi appositamente progettati. Questo ci ha permesso di alterare direttamente il funzionamento dei mitocondri nelle cellule che abbiamo trattato, aumentando la loro capacità di produrre energia che a sua volta aiuta a proteggerli dai danni cellulari”.
Secondo gli stessi ricercatori, l’utilizzo del gene OPA1 potrebbe rivelarsi utile anche per gli esseri umani con atrofia ottica dominante e forse anche ad altre malattie che riguardano le disfunzioni a livello mitocondriale. Ciononostante, gli stessi ricercatori, hanno dichiarato che comunque la strada sarà ancora lunga prima del raggiungimento del vero obiettivo, ossia un reale trattamento terapeutico per gli umani.